Caro diario, la seconda volta non si scorda mai

Caro diario,
oggi sono felice perché ce l’ho fatta. Sono di nuovo campione regionale.
Ho vinto, capisci? E l’ho fatto con i miei compagni. Insieme siamo arrivati di nuovo fino in fondo, fino al titolo.
Se ci ripenso, solo qualche ora stavo morendo. L’ansia mi stava divorando lo stomaco. Anche quando ero seduto in panchina, nel mezzo della battaglia. Sentivo qualcosa muoversi spasmodicamente dentro di me, una specie di cazzotto invisibile che mi rendeva difficile anche solo respirare.

A tratti sentivo le gambe cedermi. Così, all’improvviso. Ho controllato più volte che la palla fosse della misura giusta, perché mi sembrava meno maneggiabile del solito. Forse ero solo io il problema, le mie mani che inaspettatamente rispondevano in ritardo ai comandi.
Ero parecchio agitato ieri mattina. Mamma deve essersene accorta, perché quando ha messo l’asciugamano pulita nello zaino mi ha guardato in modo strano. Papà invece ha cercato di darmi qualche consiglio, ma io avevo la testa da un’altra parte e non ricordo bene le sue parole. Parlava tanto, gesticolava, mi chiedeva in continuazione se avevo capito bene. Forse era agitato anche lui.

Quando sono arrivato dai miei amici, alla stazione, è passato tutto. Chissà se anche loro avevano provato le stesse cose mentre arrivavano all’appunrammento. Sono stato stupido ad agitarmi, ormai sono grande e non devo farmela addosso come un bambino.

In macchina si parlava di cose strane cui non ho prestato molta attenzione: differenza canestri, punti di vantaggio, scarto massimo, probabilità di vittoria, partite che si vincono anche se si perdono. Non ci ho capito quasi nulla, io volevo solo la palla tra le mani.

Quando siamo arrivati al campo, mi sentivo abbastanza tranquillo. Io e i miei compagni facevamo gli scemi, come al solito. E tutti continuavano a ripeterci che sarebbero stati orgogliosi di noi in tutti i casi. Chissà se ci credono veramente quando lo dicono.

Quando l’arbitro si è piazzato con la palla al centro del campo, però, il pugno nello stomaco è tornato. Cavolo, che sensazione! È come quando la prof ti interroga il giorno che non hai fatto i compiti, ma un po’ diverso anche. Stavolta in ballo c’era qualcosa di importante e io non volevo rinunciarci per nessuna ragione al mondo.

Siamo quasi a luglio, faceva un caldo assurdo e ogni tanto i miei polmoni si dimenticavano di ingurgitare aria. Eppure, ogni tanto sentivo un brivido corrermi dietro la schiena. È la stessa, maledetta stretta al petto che ho provato per la prima volta l’anno scorso. Ma stavolta è diverso, io sono grande ora e gli altri si aspettano tanto da noi.

La partita è iniziata, ma non è stato come all’andata. Non riuscivamo a giocare sempre bene: i tiri sbattevano sul ferro e uscivano, gli avversari spingevano di più e ogni volta che sbagliavo i miei compagni mi urlavano in testa. Ce la faremo mai?

Durante il viaggio dicevano una cosa strana sui punti che potevamo prendere, ma io non ho capito. Forse avrei dovuto ascoltare. So solo che non si può vincere senza vincere. E sapevo bene che loro, in quel momento, erano più forti. Quando attaccavano sembrava sempre un contropiede. I tiri che facevano andavano tutti dentro, mentre noi non facevamo canestro da una vita. Sapevo che ne stavamo prendendo prima un paio, poi 5, poi 10, 15, 17. Ehi, che succede?

Caro diario, in quel momento lì ho avuto una paura matta. Ho pensato ai miei compagni, a tutto il tempo passato insieme, a quei tediosi pomeriggi d’inverno in cui andare in palestra era l’unica cosa bella della giornata. Ho pensato al mio coach, a tutta quella gente che urlava sugli spalti, agli amici che da casa aspettavano notizie sulla partita. Ho pensato a tutto e a niente, perché poi i pensieri si sono accavallati e nella testa avevo solo confusione.

A te posso confidarlo: ho avuto davvero paura. Come l’anno scorso, quando ero ancora un bambino. Più dell’anno scorso. Ho avuto paura, ma quando alla fine la sirena è suonata… beh, è stato il momento più bello di tutti!

Caro diario, ce l’ho fatta. Ce l’abbiamo fatta.

Gli altri mi hanno abbracciato, ci siamo saltati addosso, presi a schiaffi, inzuppati con tutta la gioia che avevamo trattenuto. È stato bello. È ancora bello e non riesco a smettere di pensarci.

Alla fine abbiamo salutato gli avversari, qualcuno di loro piangeva, ma a me non è venuto da ridere. Nemmeno un po’. Chissà se ieri mattina si sono alzati con la stessa strizza addosso che avevo io. Chissà se avrei pianto, io, al posto loro. Forse sì. Non sono più un bambino, ma avrei pianto anch’io.

Non piangere, ci rivedremo l’anno prossimo e forse sarai tu a festeggiare.

Caro diario, oggi sono contento. Com’è quella cosa che si dice? La prima volta non si scorda mai? Beh, neanche la seconda!

Adesso devo lasciarti, vado a fare due tiri a canestro. Ti scriverò appena potrò.

Tuo, campione regionale.

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