FOCUS ON: the show must go on

Se avete appena visto un capolavoro al cinema e volete raccontarlo, le prime cose che vi verranno in mente sono essenzialmente due: la bravura degli attori e la trama.
Due ingredienti indispensabili per la buona riuscita di un film, ma non necessariamente consequenziali.
Un capolavoro diventa realmente tale solo se c’è qualcuno che sappia plasmare la bravura degli attori sulla trama e la trama sulla bravura degli attori.
Si tratta di ombre, figure che si aggirano dietro le quinte e che, a lavoro finito, riescono a strappare solo i rimasugli degli applausi. Alle loro orecchie arriva solo l’eco delle standing ovation, del tripudio e delle acclamazioni della folla. Non inspirano l’ebbrezza dei riflettori puntati addosso, siedono ai margini delle ovazioni. Ma il loro ruolo è indispensabile per la buona riuscita della pellicola.
Ogni buon regista sa di dover essere allo stesso tempo affamato e sazio: deve avere fame di successo, brama di trionfo, deve essere ambizioso e qualche volta addirittura presuntuoso, ma non senza essere allo stesso modo umile e realista.
Se il film è un flop, il regista deve addossarsi tutte le colpe, se è un successo straordinario il merito è prima di tutto degli altri.
Lui sta dietro la macchina da presa, vive nell’ombra perché altri possano gustarsi la luce dei riflettori e sceglie accuratamente ogni inquadratura, ogni fermo immagine, ogni messa a fuoco. Deve saper gestire il materiale che ha tra le mani, sapendo che gli attori non vogliono essere gestiti, ma guidati, e sapendo che le probabilità di fallire sono sempre molto più alte rispetto alle possibilità di successo.
Ma tutti i grandi registi sono un po’ dei pazzi che hanno fame di sogni e che in un pomeriggio caldo di fine marzo quei sogni te li disegnano sulla lavagnetta.
Il David di Donatello della nostra notte dei capolavori porta il nome di due grandi registi: Arturo e Francesco.
Due che la vittoria l’hanno voluta e l’hanno cercata, due che hanno fiutato il successo dove tutti avvertivano il tanfo della sconfitta e del fallimento, due che per una partita tremenda come Venafro – Matera avevano già scritto un lieto fine senza che noi lo sapessimo.
E non era così banale e scontato il finale. Questo non poteva essere uno di quei film di cui intuisci l’epilogo già dai primi minuti. No, Venafro – Matera doveva essere davvero un capolavoro e, si sa, ogni capolavoro per diventare realmente tale deve passare attraverso la disfatta, l’avvilimento, l’afflizione. Perché ogni grande opera d’arte nasce da una buona dose di vuoto e di oscurità.
E bisogna dire che le luci stavolta si erano spente davvero troppo presto, che tutti sugli spalti avrebbero voluto cambiare canale e che Matera avrebbe potuto portare via con sé tutti i premi in palio.
E in una situazione del genere puoi pensare di urlare quanto vuoi per impedire il collasso, ma se strilli e nessuno ti segue stai solo facendo un assolo stonato. Ed è qui che viene fuori il grande regista, quello che sa trasformare un’idea in realtà, quello che disegna la trama perfetta per il film perfetto di una serata imperfetta.
Se esiste un solo Federico Fellini e tanti Federico Moccia è perché per essere grandi registi bisogna avere innanzitutto coraggio. Come il coraggio di tenere fuori uno dei “migliori” attori protagonisti del momento perché non sa interpretare il copione come tu vorresti, e lo stesso coraggio di ributtarlo nella mischia quando sai che potrebbe tirar fuori la battuta perfetta per il film perfetto di una serata imperfetta.
E quando vedi che gli attori ti seguono ed eseguono, quando inizi a vedere riflessa anche nei loro sguardi la possibilità della vittoria, quando hai trovato la via per tenere ancora aperto il sipario, è allora che capisci che il lieto fine sta per avere inizio.
E forse Arturo e Francesco lo sanno benissimo come andrà a finire, perché sono stanchi di essere sempre la bella favola “fuori tempo”. Loro vogliono vincere con quei colori addosso, in quel palazzetto con la gente ammassata, sotto gli occhi di quei tifosi che vedono seduti allo stesso posto da tempo immemore. Vogliono vincere col nome di Venafro stampato sul cuore, perché sì, anche se siamo piccoli e silenziosi, possiamo batterli i ciclopi e perché stavolta quel passo che ci separa dalla meta vogliamo farlo con tutta la rabbia e con tutto il coraggio che coviamo dentro.
E che colpo di scena sia allora, e che questa serata imperfetta possa trasformarsi in un capolavoro! E che Marco Rossi, ancora Marco Rossi, sempre Marco Rossi, possa salire di nuovo sulla vetta più alta e mostrarci quanto è  bello il nostro sogno.
Godiamocelo questo tripudio frizzante, prendiamoceli i nostri David di Donatello, perché questo tempo è il nostro tempo, un tempo in cui siamo noi a stabilire quello che possiamo o non possiamo essere, e perché, forse, non siamo ancora abbastanza sazi per mandare i titoli di coda. The show must go on.

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