Giuseppe e Pasquale. Pasquale e Giuseppe. Un binomio quasi inscindibile, una storia da classici per bambini. Il gatto e la volpe, Cip e Ciop, Paperino e Paperoga; ma anche qualcosa di più moderno, come i Goten e Trunks che si addestrano insieme per combattere i cattivi, o gli Holly e Benji prestati alla pallacanestro.
Due che siamo abituati a vedere insieme, compenetrati, confusi, amalgamati in qualche strana maniera.
Nati ad una settimana di distanza l’uno dall’altro, a settembre, con una sincronia da ‘quasi gemelli’, pochi giorni dopo che il mondo si era fermato per il crollo di due torri. Pure quelle gemelle.
Pasquale e Giuseppe – o Giuseppe e Pasquale, dipende solo dall’abitudine – hanno condiviso praticamente tutto: il pannolino, il nido, le scuole, gli amici, la vita. E insieme hanno mosso i primi passi sul campo. Prima il minibasket, poi il passaggio alle giovanili, i cambi d’allenatore, l’avventura con la rappresentativa, i tornei, le convocazioni in prima squadra, l’esperienza in serie B, il primo campionato senior da titolari e protagonisti. Se è vero che il campo ci rende fratelli, per loro questo assunto è ancora più vero: hanno condiviso il sudore, l’euforia del parquet, la paura di sbagliare, le prime soddisfazioni, le lacrime delle sconfitte. Fratelli nella buona e nella cattiva sorte, fratelli per sempre.
Due onde gemelle lasciate a crescere nel mare, tra la calma piatta e la burrasca. La burrasca che poi è arrivata, come in tutte le storie a lieto fine che prima di arrivare alla fine ci fanno struggere e sudare e logorare e patire. Pasquale l’ha attraversata per primo, il suo crociato ha ceduto e c’è stato poco da fare. E Giuseppe? Giuseppe ha continuato a giocare, senza la sua metà, ma ha continuato a giocare. È arrivato alla fine della stagione regolare, poi un salto tra avversario e canestro ha fermato anche lui. Menisco e crociato, stessa diagnosi o giù di lì.
Incredibile, vero? A volerla inventare una storia così avrebbe il sapore di artefatto e improbabile, e invece è la realtà. È la vita con le sue assurde coincidenze, un filo invisibile che tiene legate le persone ad un medesimo destino.
Per Pasquale abbiamo parlato di resilienza, la capacità di non indietreggiare dinanzi alle difficoltà, la resistenza agli urti e alle pressioni. Abbiamo parlato di battaglie personali, di sfide con sé stessi, di lotte lunghe e solitarie. Abbiamo dimenticato una cosa: non si deve per forza combattere da soli. Ogni battaglia, se combattuta insieme, sarà meno faticosa da affrontare. Su due spalle qualsiasi macigno pesa di meno.
In Dragon Ball Z, che la generazione di Pasquale e Giuseppe deve per forza aver visto, esiste una danza – la Danza di Metamor – che, se eseguita correttamente ed in perfetta consonanza, può permettere l’unione completa di due individui in uno solo, padrone di una forza di gran lunga superiore a quella iniziale. Nel manga giapponese, la fusione serve per battere Majin Bu, il mostro cattivo che vuole distruggere il pianeta.
Senza il bisogno di fare nessuna danza, Pasquale e Giuseppe possono fondere insieme i loro corpi e attraversare la tempesta, mettere insieme tutti i pezzi buoni e combattere il loro nemico.
Bastano due gambe e un solo cuore per tornare a rialzarsi. E Pasquale e Giuseppe lo faranno proprio come hanno fatto tutto il resto: loro due insieme. Fratelli nella buona e nella cattiva sorte.
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