E’ bella questa sconfitta qua. La più bella della stagione.
E che stagione. Ci voleva un’emozione grande per riempire il post serie B, un brivido da rincorrere per tutto l’anno, un punto di partenza vero da cui stendere le trame di un nuovo ciclo, di una nuova era.
Ci voleva qualcosa che sapesse ancora di Basket Venafro e domenica, nell’ultima partita di regular season, su quel campo calpestato da tutte le categorie, l’abbiamo ritrovata.
E non è stato per niente semplice. E non era neanche così scontato.
Quanta roba ci è passata davanti agli occhi da agosto ad oggi? Quanto siamo stati malleabili ed elastici per ammortizzare colpi su colpi, neanche fossimo stati un bersaglio mobile nel mezzo di una battaglia di Softair?
Abbiamo iniziato la stagione senza un lungo titolare, chiedendo da subito di stringere i denti, di sacrificare qualcosa per la squadra. Lo abbiamo fatto. Lo hanno fatto, che è la cosa più importante.
Ad inizio campionato abbiamo pescato due ali straniere per adattarle nel ruolo di centro e tamponare l’emergenza: uno non ha nemmeno esordito sul campo, l’altro è andato via dopo sole due partite.
Punto zero, ripartire non è stato facile. Stringere i denti, il leitmotiv di quest’annata.
Ad un certo punto è arrivato Mauro Liburdi, si è provato a rimettere ordine, a ridare un pò di respiro agli under rimasti coraggiosamente a prendere botte sotto canestro.
Un paio di partite e ci siamo fermati di nuovo. Stavolta a cadere è Raffaele Minchella, costretto allo “stop lungo”. All’ottava giornata, senza capitano, è di nuovo punto di partenza. Di ri-partenza, quella di chi per necessità si è fatto stoico.
Poi si ferma anche Pasquale Pirozzi: intervento al crociato lesionato, stagione finita.
Abbiamo chiuso il girone di andata con 4 punti e quelli che a settembre erano solo bisbigli sussurrati a mezza voce tra una palla persa e l’altra, sono diventati strepitii chiassosi e verdetti inappellabili: “so’ ragazzini”. Come se esserlo fosse di per sé una colpa congenita, una condanna al fallimento presto o tardi.
E via con la sfilata degli scettici, del pessimismo saputello, dei “quando eravamo ragazzini noi…”, dei telavevodettisti col brevetto. Tutti iscritti alla fiera della paternale senza sconti.
A fine gennaio è arrivato Tamburrini, una breve apparizione. La prima partita dopo il lungo riposo forzato l’ha toppata completamente, doveva riprendere confidenza col campo e con la squadra. E la squadra con lui. Ma quando è arrivata l’intesa, è andato via lui. Ha giocato appena quattro partite, poi ha scelto un’altra destinazione. Altro fulmine a ciel sereno, a 48h dalla chiusura del mercato.
Ennesimo stadio di una metamorfosi insaziabile.
L’ultimo arrivato è stato Rino Tomasiello, un giocatore fermo da un paio di mesi, ma che anche su mezza caviglia poteva dare un contributo insperato alla causa.
E’ l’ultima versione del Venafro, la muta definitiva.
Ne sono successe parecchie di cose in una stagione, eventi esterni e dinamiche interne che hanno messo a dura prova la corazza di un gruppo di ragazzini che fino all’anno scorso giocava un campionato u18 a cinque squadre. Sempre gli stessi colori, le stesse facce, gli stessi anni sulle gambe.
Quest’anno, invece, tutti loro hanno fatto una cosa da “grandi”. E alla fine si sono presi la rivincita che meritavano. Non con le parole, quelle se le porta il vento, che quest’anno è venuto giù bello forte. Ma con la cosa che sanno fare meglio: giocare. Che poi è la cosa che amano di più.
Alla fine di tutta questa stagione e alla fine di tutta questa storia, a noi restano i fiumi di parole pronunciate senza sudore e con poca sforzo. A loro, a tutti loro, di parola ne resta solo una, insudiciata e imbrattata di tutta la fatica che è costata: Playoff.
“Lasciamo ai pigri e ai vili le vie piane e sicure: i valorosi salgono alle vette”.
Chapeau, ragazzi.
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