Cinquecentottantotto. 588. Non sono cifre buttate lì a caso. 588 è un arco temporale, sono tutti giorni in cui il gruppo under 16 è rimasto a secco di vittorie, che, se fate bene i calcoli, potete tradurre in settimane, mesi e anni addirittura. L’ultima partita vinta risaliva ad aprile 2017, praticamente due stagioni fa.
Non siamo ipocriti, ci vuole una grande dose di coraggio per passarci illesi in mezzo a 588 giorni di sole sconfitte, specie se hai 14 anni e se l’ultima volta che hai portato a casa una vittoria eri ancora un bambino.
Ma è proprio per questo che il gruppo under 16 è speciale: perché è rimasto lo stesso. E perché sarebbe rimasto anche se lunedì la tanto attesa vittoria non fosse arrivata.
Qualche tempo fa ho sentito una storia che mi è subito venuta in mente quando è arrivata la notizia della referto rosa. Parlava di un astronomo che nel 1922, osservando il cielo, scoprì un asteroide. Curioso come tra la miriade di corpi celesti fluttuanti nello spazio, uno sia attirato proprio da un corpo così piccolo. Si trattava di un asteroide sospeso nel vuoto cosmico nella fascia compresa tra Marte e Giove, di dimensioni così ridotte che il suo diametro medio copriva appena la distanza che percorriamo in auto da Venafro ad Isernia. Qualche anno più tardi, Joseph Rheden e Anna Palisa gli diedero un nome e decisero di intitolarlo alla memoria del suo scopritore, Johann Palisa, un nome che mollato a caso così non dice nulla, ma che apparteneva ad uno dei più grandi osservatori del cielo. Uno che aveva studiato l’universo senza l’aiuto della fotografia né dei potenti macchinari tecnologici di cui disponiamo oggi. Palisa aveva scoperto il suo primo asteroide nel 1874, ottantaquattro anni prima che venisse istituita la NASA, tanto per capirci. A lui si deve la scoperta di 122 asteroidi, in un tempo in cui nessun satellite era ancora stato mai lanciato nello spazio. Il suo mestiere era osservare le stelle e l’asteroide battezzato in su onore è “975 Perseverantia“.
Cosa c’entrino stelle, asteroidi e corpi celesti con un gruppo di ragazzini che gioca a pallacanestro non lo so, magari nulla. Ma vi siete mai chiesti quanta perseveranza ci voglia per tornare in palestra dopo una sconfitta, tutti i lunedì per un anno e mezzo? Quanta perseveranza ci voglia nel tornare ad allenarsi ogni volta, anche se la squadra da affrontare la domenica successiva è ancora più tosta di quella precedente? Quanta ostinazione nel rincorrere una palla l’ultimo minuto di una partita persa già nei primi dieci?
È come cercare di scovare in un buco di cielo qualcosa che valga la pena di essere guardato.
“588 – Perseverantia“, se potessi mettere un nome a questa vittoria, sarebbe questo. E dovremmo intitolargliela e scolpirgliela su un blocco di marmo, affinché ricordino sempre – e perché noi lo ricordiamo – che questo sport si fa solo per amore e che loro sono eterni innamorati. Più di chi colleziona vittorie e trofei, perché il vero amore è quello che resiste anche quando non ottiene nulla in cambio e il vero coraggio è quello che spinge a correre anche quando ci sono solo fioche speranze.
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